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Yoga Roma Parioli Pony Express Raccomandate Roma

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Yoga Roma Parioli Pony Express Raccomandate Roma
Giuseppe Parini
Le odi



L'INNESTO DEL VAIUOLO
AL DOTTORE
GIAMMARIA BICETTI DE' BUTTINONI

O Genovese ove ne vai? qual raggio
Brilla di speme su le audaci antenne?
Non temi oimè le penne
Non anco esperte degli ignoti venti?
Qual ti affida coraggio
All'intentato piano
De lo immenso oceano?
Senti le beffe dell'Europasenti
Come deride i tuoi sperati eventi.

Ma tu il vulgo dispregia. Erra chi dice
Che natura ponesse all'uom confine
Di vaste acque marine
Se gli diè mente onde lor freno imporre:
E dall'alta pendice
Insegnolli a guidare
I gran tronchi sul mare
E in poderoso canape raccorre
I ventionde su l'acque ardito scorre.

Così l'eroe nocchier pensaed abbatte
I paventati d'Ercole pilastri;
Saluta novelli astri;
E di nuove tempeste ode il ruggito.
Veggon le stupefatte
Genti dell'orbe ascoso
Lo stranier portentoso.
Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito
All'Europache il beffa ancor sul lito.

Più dell'oroBICETTIall'Uomo è cara
Questa del viver suo lunga speranza:
Più dell'oro possanza
Sopra gli animi umani ha la bellezza.
E pur la turba ignara
Or condanna il cimento
Or resiste all'evento
Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza
I novi mondi al prisco mondo avvezza.

Come biada orgogliosa in campo estivo
Cresce di santi abbracciamenti il frutto.
Ringiovanisce tutto
Nell'aspetto de' figli il caro padre;
E dentro al cor giulivo
Contemplando la speme
De le sue ore estreme
Già cultori apparecchia artieri e squadre
A la patria d'eroi famosa madre.

Crescete o pargoletti: un dì sarete
Tu forte appoggio de le patrie mura
E tu soave cura
E lusinghevol' esca ai casti cori.
Maoh dioqual falce miete
De la ridente messe
Le sì dolci promesse?
O quai d'atroce grandine furori
Ne sfregiano il bel verde e i primi fiori?

Fra le tenere membra orribil siede
Tacito seme: e d'improvviso il desta
Una furia funesta
De la stirpe degli uomini flagello.
Urta al di dentroe fiede
Con lièvito mortale;
E la macchina frale
O al tutto abbatteo le rapisce il bello
Quasi a statua d'eroe rival scarpello.

Tutti la furia indomita vorace
Tutti una volta assale ai più verd'anni:
E le strida e gli affanni
Dai tugurj conduce a' regj tetti;
E con la man rapace
Ne le tombe condensa
Prole d'uomini immensa.
Sfugge taluno è vero ai guardi infetti;
Ma palpitando peggior fato aspetti.

Oh miseri! che val di medic' arte
Nè studj oprar nè farmachi nè mani?
Tutti i sudor son vani
Quando il morbo nemico è su la porta;
E vigor gli comparte
De la sorpresa salma
La non perfetta calma.
Oh debil' arteoh mal secura scorta
Che il male attendie no 'l previeni accorta!

Già non l'attende in orïente il folto
Popol che noi chiamiam barbaro e rude;
Ma sagace delude
Il fiero inevitabile demòne.
Poichè il buon punto ha colto
Onde il mostro conquida
Coraggioso lo sfida;
E lo astrigne ad usar ne la tenzone
L'armiche ottuse tra le man gli pone.

Del regnante velen spontaneo elegge
Quel ch'è men tristo; e macolar ne suole
La ben amata prole
Che non più recidiva in salvo torna.
Però d'umano gregge
Va Pechino coperto;
E di femmineo merto
Tesoreggia il Circassoe i chiostri adorna
Ove la Dea di Cipri orba soggiorna.

O Montegùqual peregrina nave
Barbare terre misurando e mari
E di popoli varj
Diseppellendo antiqui regni e vasti
E a noi tornando grave
Di strana gemma e d'auro
Portò sì gran tesauro
Che a pareggiare non che a vincer basti
Quelche tu dall'Eussino a noi recasti?

Rise l'Anglia la Francia Italia rise
Al rammentar del favoloso Innesto:
E il giudizio molesto
De la falsa ragione incontro alzosse.
In van l'effetto arrise
A le imprese tentate;
Chè la falsa pietate
Contro al suo bene e contro al ver si mosse
E di lamento femminile armosse.

Ben fur preste a raccor gl'infausti doni
Cheattraversando l'oceàno aprico
Lor condusse Americo;
E ad ambe man li trangugiaron pronte.
De' lacerati troni
Gli avanzi sanguinosi
E i frutti velenosi
Strinser gioiendo; e da lo stesso fonte
De la vita succhiar spasimi ed onte.

Tal del folle mortal tale è la sorte:
Contra ragione or di natura abusa;
Or di ragion mal usa
Contra natura che i suoi don gli porge.
Questa a schifar la morte
Insegnò madre amante
A un popolo ignorante;
E il popol coltoche tropp'alto scorge
Contro ai consigli di tal madre insorge.

Sempre il novoch'è grandeappar menzogna
Mio BICETTIal volgar debile ingegno:
Ma imperturbato il regno
De' saggi dietro all'utile s'ostina.
Minaccia nè vergogna
No 'l frenano 'l rimove;
Prove accumula a prove;
Del popolare error l'idol rovina
E la salute ai posteri destina.

Così l'Anglia la Francia Italia vide
Drappel di saggi contro al vulgo armarse.
Lor zelo indomit' arse
E di popolo in popolo s'accese.
Contro all'armi omicide
Non più debole e nudo;
Ma sotto a certo scudo
Il tenero garzon cauto discese
E il fato inesorabile sorprese.

Tu sull'orme di quelli ardito corri
Tu purBICETTI; e di combatter tenta
La pietà violenta
Che a le Insubriche madri il core implica.
L'umanità soccorri;
Spregia l'ingiusto soglio
Ove s'arman d'orgoglio
La superstizïon del ver nemica
E l'ostinata folle scola antica.

Quanta parte maggior d'almi nipoti
Coltiverà nostri felici campi!
E quanta fia che avvampi
D'industria in pace o di coraggio in guerra!
Quanta i soavi moti
Propagherà d'amore
E desterà il languore
Del pigro Imeneche infecondo or erra
Contro all'util comun di terra in terra!

Le giovinette con le man di rosa
Idalio mirto coglieranno un giorno:
All'alta quercia intorno
I giovinetti fronde coglieranno;
E a la tua chioma annosa
Cui per doppio decoro
Già circonda l'alloro
Intrecceran ghirlandee canteranno:
Questi a morte ne tolse o a lungo danno.

Tale il nobile plettro infra le dita
Mi profeteggia armonïoso e dolce
Nobil plettro che molce
Il duro sasso dell'umana mente;
E da lunge lo invita
Con lusinghevol suono
Verso il ververso il buono;
Nè mai con laude bestemmiò nocente
O il falso in trono o la viltà potente.


LA SALUBRITÀ DELL'ARIA

Oh beato terreno
Del vago EUPILI mio
Ecco al fin nel tuo seno
M'accogli; e del natìo
Aere mi circondi;
E il petto avido inondi.

Già nel polmon capace
Urta sè stesso e scende
Quest'etere vivace
Che gli egri spirti accende
E le forze rintegra
E l'animo rallegra.

Però ch'austro scortese
Quì suoi vapor non mena:
E guarda il bel paese
Alta di monti schiena
Cui sormontar non vale
Borea con rigid' ale.

Nè quì giaccion paludi
Che dall'impuro letto
Mandino a i capi ignudi
Nuvol di morbi infetto:
E il meriggio a' bei colli
Asciuga i dorsi molli.

Pera colui che primo
A le triste ozïose
Acque e al fetido limo
La mia cittade espose;
E per lucro ebbe a vile
La salute civile.

Certo colui del fiume
Di Stige ora s'impaccia
Tra l'orribil bitume
Onde alzando la faccia
Bestemmia il fango e l'acque
Che radunar gli piacque.

Mira dipinti in viso
Di mortali pallori
Entro al mal nato riso
I languenti cultori;
E trema o cittadino
Che a te il soffri vicino.

Io de' miei colli ameni
Nel bel clima innocente
Passerò i dì sereni
Tra la beata gente
Che di fatiche onusta
È vegeta e robusta.

Quì con la mente sgombra
Di pure linfe asterso
Sotto ad una fresc' ombra
Celebrerò col verso
I villan vispi e sciolti
Sparsi per li ricolti;

E i membri non mai stanchi
Dietro al crescente pane;
E i baldanzosi fianchi
De le ardite villane;
E il bel volto giocondo
Fra il bruno e il rubicondo

Dicendo: Oh fortunate
Gentiche in dolci tempre
Quest'aura respirate
Rotta e purgata sempre
Da venti fuggitivi
E da limpidi rivi.

Ben larga ancor natura
Fu a la città superba
Di cielo e d'aria pura:
Ma chi i bei doni or serba
Fra il lusso e l'avarizia
E la stolta pigrizia?

Ahi non bastò che intorno
Putridi stagni avesse;
Anzi a turbarne il giorno
Sotto a le mura stesse
Trasse gli scelerati
Rivi a marcir su i prati

E la comun salute
Sagrificossi al pasto
D'ambizïose mute
Che poi con crudo fasto
Calchin per l'ampie strade
Il popolo che cade.

A voi il timo e il croco
E la menta selvaggia
L'aere per ogni loco
De' varj atomi irraggia
Che con soavi e cari
Sensi pungon le nari.

Ma al piè de' gran palagi
Là il fimo alto fermenta;
E di sali malvagi
Ammorba l'aria lenta
Che a stagnar si rimase
Tra le sublimi case.

Quivi i lari plebei
Da le spregiate crete
D'umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;
Onde il vapor s'aggira;
E col fiato s'inspira.

Spenti animairidotti
Per le frequenti vie
De gli aliti corrotti
Empion l'estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin su l'orme!

Nè a pena cadde il sole
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la cittàche desta
Beve l'aura molesta.

Gridan le leggi è vero;
E Temi bieco guata:
Ma sol di sè pensiero
Ha l'inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne' comun danni i tuoi?

Ma dove ahi corro e vago
Lontano da le belle
Colline e dal bel lago
E dalle villanelle
A cui sì vivo e schietto
Aere ondeggiar fa il petto?

Va per negletta via
Ognor l'util cercando
La calda fantasìa
Che sol felice è quando
L'utile unir può al vanto
Di lusinghevol canto.


LA VITA RUSTICA

Perchè turbarmi l'anima
O d'oro e d'onor brame
Se del mio viver Atropo
Presso è a troncar lo stame?
E già per me si piega
Sul remo il nocchier brun
Colà donde si niega
Che più ritorni alcun?

Queste che ancor ne avanzano
Ore fugaci e meste
Belle ci renda e amabili
La libertade agreste.
Quì Cerere ne manda
Le biadee Bacco il vin:
Quì di fior s'inghirlanda
Bella innocenza il crin.

So che felice stimasi
Il possessor d'un'arca
Che Pluto abbia propizio
Di gran tesoro carca:
Ma so ancor che al potente
Palpita oppresso il cor
Sotto la man sovente
Del gelato timor.

Me non nato a percotere
Le dure illustri porte
Nudo accorràma libero
Il regno de la morte.
Noricchezza nè onore
Con frode o con viltà
Il secol venditore
Mercar non mi vedrà.

Colli beati e placidi
Che il vago Èupili mio
Cingete con dolcissimo
Insensibil pendìo
Dal bel rapirmi sento
Che natura vi diè;
Ed esule contento
A voi rivolgo il piè.

Già la quietea gli uomini
Sì sconosciutain seno
De le vostr'ombre apprestami
Caro albergo sereno:
E le cure e gli affanni
Quindi lunge volar
Scorgoe gire i tiranni
Superbi ad agitar.

In van con cerchio orribile
Quasi campo di biade
I lor palagi attorniano
Temute lance e spade;
Però ch'entro al lor petto
Penetra nondimen
Il trepido sospetto
Armato di velen.

Qual porteranno invidia
A meche di fior cinto
Tra la famiglia rustica
A nessun giogo avvinto
Come solea in Anfriso
Febo pastorvivrò;
E sempre con un viso
La cetra sonerò!

Non fila d'oro nobili
D'illustre fabbro cura
Io scoteròma semplici
E care a la natura.
Quelle abbia il vate esperto
Nell'adulazïon
Chè la virtude e il merto
Daran legge al mio suon.

Inni dal petto supplice
Alzerò spesso a i cieli
Sì che lontan si volgano
I turbini crudeli;
E da noi lunge avvampi
L'aspro sdegno guerrier;
Nè ci calpesti i campi
L'inimico destrier.

Eperchè a i numi il fulmine
Di man più facil cada
Pingerò lor la misera
Sassonica contrada
Che vide arse sue spiche
In un momento sol;
E gir mille fatiche
Col tetro fumo a vol.

E te villan sollecito
Che per nov'orme il tralcio
Saprai guidar frenandolo
Col pieghevole salcio:
E teche steril parte
Del tuo terrendi più
Render faraicon arte
Che ignota al padre fu:

Te co' miei carmi a i posteri
Farò passar felice:
Di te parlar più secoli
S'udirà la pendice.
E sotto l'alte piante
Vedransi a riverir
Le quete ossa compiante
I posteri venir.

Tale a me pur concedasi
Chiuder campi beati
Nel vostro almo ricovero
I giorni fortunati.
Ah quella è vera fama
D'uom che lasciar può quì
Lunga ancor di sè brama
Dopo l'ultimo dì!


IL BISOGNO
AL SIG. WIRTZ
PRETORE PER LA REPUBBLICA ELVETICA

Oh tiranno Signore
De' miseri mortali
Oh male oh persuasore
Orribile di mali
Bisognoe che non spezza
Tua indomita fierezza!

Di valli adamantini
Cinge i cor la virtude;
Ma tu gli urti e rovini;
E tutto a te si schiude.
Entrie i nobili affetti
O strozzi od assoggetti.

Oltre corrie fremente
Strappi Ragion dal soglio;
E il regno de la mente
Occupi pien d'orgoglio
E ti poni a sedere
Tiranno del pensiere.

Con le folgori in mano
La legge alto minaccia;
Ma il periglio lontano
Non scolora la faccia
Di chi senza soccorso
Ha il tuo peso sul dorso.

Al misero mortale
Ogni lume s'ammorza:
Ver la scesa del male
Tu lo strascini a forza:
Ei di sè stesso in bando
Va giù precipitando.

Ahi l'infelice allora
I común patti rompe;
Ogni confine ignora;
Ne' beni altrui prorompe;
Mangia i rapiti pani
Con sanguinose mani.

Ma quali odo lamenti
E stridor di catene;
E ingegnosi strumenti
Veggo d'atroci pene
Là per quegli antri oscuri
Cinti d'orridi muri?

Colà Temide armata
Tien giudizj funesti
Su la turba affannata
Che tu persuadesti
A romper gli altrui dritti
O padre di delitti.

Meco vieni al cospetto
Del nume che vi siede.
No non avrà dispetto
Che tu v'innoltri il piede.
Da lui con lieto volto
Anco il Bisogno è accolto.

O ministri di Temi
Le spade sospendete:
Da i pulpiti supremi
Quà l'orecchio volgete.
Chi è che pietà niega
Al Bisogno che prega?

Perdondic'eiperdono
Ai miseri cruciati.
Io son l'autore io sono
De' lor primi peccati.
Sia contro a me diretta
La pubblica vendetta.

Ma quale a tai parole
Giudice si commove?
Qual dell'umana prole
A pietade si move?
Tu WIRTZ uom saggio e giusto
Ne dai l'esempio augusto:

Tu cui sì spesso vinse
Dolor de gl'infelici
Che il Bisogno sospinse
A por le rapitrici
Mani nell'altrui parte
O per forza o per arte:

E il carcere temuto
Lor lieto spalancasti:
E dando oro ed aiuto
Generoso insegnasti
Come senza le pene
Il fallo si previene.


IL BRINDISI

Volano i giorni rapidi
Del caro viver mio:
E giunta in sul pendìo
Precipita l'età.

Le belle oimè che al fingere
Han lingua così presta
Sol mi ripeton questa
Ingrata verità.

Con quelle occhiate mutole
Con quel contegno avaro
Mi dicono assai chiaro:
Noi non siam più per te.

E fuggono e folleggiano
Tra gioventù vivace;
E rendonvi loquace
L'occhio la mano e il piè.

Che far? Degg'io di lagrime
Bagnar per questo il ciglio?
Ah no; miglior consiglio
È di godere ancor.

Se già di mirti teneri
Colsi mia parte in Gnido
Lasciamo che a quel lido
Vada con altri Amor.

Volgan le spalle candide
Volgano a me le belle:
Ogni piacer con elle
Non se ne parte alfin.

A Baccoall'Amicizia
Sacro i venturi giorni.
Cadano i mirti; e s'orni
D'ellera il misto crin.

Che fai su questa cetera
Cordache amor sonasti?
Male al tenor contrasti
Del novo mio piacer.

Or di cantar dilettami
Tra' miei giocondi amici
Augurj a lor felici
Versando dal bicchier.

Fugge la instabil Venere
Con la stagion de' fiori:
Ma tu Lièo ristori
Quando il dicembre uscì.

Amor con l'età fervida
Convien che si dilegue;
Ma l'amistà ne segue
Fino a l'estremo dì.

Le bellech'or s'involano
Schife da noi lontano
Verranci allor pian piano
Lor brindisi ad offrir.

E noi compagni amabili
Che far con esse allora?
Seco un bicchiere ancora
Beveree poi morir.


LA IMPOSTURA

Venerabile Impostura
Io nel tempio almo a te sacro
Vo tentón per l'aria oscura;
E al tuo santo simulacro
Cui gran folla urta di gente
Già mi prostro umilemente.

Tu de gli uomini maestra
Sola sei. Qualor tu detti
Ne la comoda palestra
I dolcissimi precetti
Tu il discorso volgi amico
Al monarca ed al mendico.

L'un per via piagato reggi;
E fai sì che in gridi strani
Sua miseria giganteggi;
Onde poi non culti pani
A lui frutti la semenza
De la flebile eloquenza.

Tu dell'altro a lato al trono
Con la Iperbole ti posi:
E fra i turbini e fra il tuono
De' gran titoli fastosi
Le vergogne a lui celate
De la nuda umanitate.

Già con Numa in sul Tarpèo
Desti al Tebro i riti santi
Onde l'augure potèo
Co' suoi voli e co' suoi canti
Soggiogar le altere menti
Domatrici de le genti.

Del Macedone a te piacque
Fare un diodinanzi a cui
Paventando l'orbe tacque:
E nell'Asia i doni tui
Fur che l'Arabo profeta
Sollevàro a sì gran meta.

Ave dea. Tu come il sole
Giri e scaldi l'universo.
Te suo nume onora e cole
Oggi il popolo diverso:
E fortuna a te devota
Diede a volger la sua rota.

I suoi dritti il merto cede
A la tua divinitade
E virtù la sua mercede.
Orse tanta potestade
Hai qua giùcol tuo favore
Che non fai pur me impostore?

Mente pronta e ognor ferace
D'opportune utili fole
Have il tuo degno seguace:
Ha pieghevoli parole;
Ma tenacee quasi monte
Incrollabile la fronte.

Sopra tutto ei non oblìa
Che sì fermo il tuo colosso
Nel gran tempio non starìa
Se qual base ognor col dosso
Non reggessegli il costante
Verosimile le piante.

Con quest'arte Cluvïeno
Che al bel sesso ora è il più caro
Fra i seguaci di Galeno
Si fa ricco e si fa chiaro;
Ed amar fatanto ei vale
A le belle egre il lor male.

Ma Cluvien dal mio destino
D'imitar non m'è concesso.
Dell'ipocrita Crispino
Vo' seguir l'orme da presso.
Tu mi guida o Dea cortese
Per lo incognito paese.

Di tua man tu il collo alquanto
Sul manc' omero mi premi:
Tu una stilla ognor di pianto
Da mie luci aride spremi:
E mi faccia casto ombrello
Sopra il viso ampio cappello.

Qual fia allor sì intatto giglio
Ch'io non macchje ch'io non sfrondi
Dalle forche e dall'esiglio
Sempre salvo? A me fecondi
Di quant'oro fien gli strilli
De' clienti e de' pupilli!

Ma qual arde amabil lume?
Ahti veggio ancor lontano
Verità mio solo nume
Che m'accenni con la mano;
E m'inviti al latte schietto
Ch'ognor bevvi al tuo bel petto.

Deh perdona. Errai seguendo
Troppo il fervido pensiere.
I tuoi rai del mostro orrendo
Scopron or le zanne fiere.
Tu per sempre a lui mi togli;
E me nudo nuda accogli.


IL PIACERE E LA VIRTÙ

Vada in bando ogni tormento:
Ecco riede il secol d'oro.
A scherzar tornan fra loro
Innocenza e libertà.

Sol fra noi regni il contento;
Coroniamo il crin di rose:
Su si colgan rugiadose
Da la man dell'onestà.

La virtù non move guerra
A i diletti onesti e belli.
Colà in ciel nacquer gemelli
Il piacere e la virtù.

E gli dei portàro in terra
Un tesor così giocondo;
E così beàr del mondo
La primiera gioventù.

Folle stirpe de' mortali
Che sè stessa ognor delude!
Il piacer da la virtude
Insolente dipartì.

L'atra allor di tutti i mali
Si destò nova procella:
E la coppia amica e bella
Solo in ciel si riunì.

Ma tornàro i dì beati.
Or veggiam congiunti ancora
Con un nodoche innamora
La virtude ed il piacer.

Sposi eccelsi a voi siam grati
Che il bel dono a noi rendete:
Siete voi che l'uomo ergete
A lo stato suo primier.

Ah perchè velar l'aspetto
Sotto strane e varie forme?
Al fulgor de le vostr'orme
Si conosce il divin piè.

La Virtude et il Diletto
FERDINANDO e BEATRICE!
Oh spettacolo felice
Che rapisci ogn'alma a te!

Sol fra noi regni il contento:
Coroniamo il crin di rose:
Su si colgan rugiadose
Da la man dell'onestà.

Vada in bando ogni tormento.
Ecco riede il secol d'oro:
A scherzar tornan fra loro
Innocenza e libertà.


LA PRIMAVERA

La vaga Primavera
Ecco che a noi sen viene;
E sparge le serene
Aure di molli odori.

L'erbe novelle e i fiori
Ornano il colle e il prato.
Torna a veder l'amato
Nido la rondinella.

E torna la sorella
Di lei a i pianti gravi:
E tornano a i soavi
Baci le tortorelle.

Escon le pecorelle
Del lor soggiorno odioso;
E cercan l'odoroso
Timo di balza in balza.

La pastorella scalza
Ne vien con esse a paro;
Ne vien cantando il caro
Nome del suo pastore.

Ed eiseguendo Amore
Volge ove il canto sente;
E coglie la innocente
Ninfa sul fresco rio.

Oggi del suo desio
Amore infiamma il mondo:
Amore il suo giocondo
Senso a le cose inspira.

Sola il dolor non mira
Clori del suo fedele:
E sol quella crudele
Anima non sospira.


LA EDUCAZIONE

Torna a fiorir la rosa
Che pur dianzi languìa;
E molle si riposa
Sopra i gigli di pria.
Brillano le pupille
Di vivaci scintille.

La guancia risorgente
Tondeggia sul bel viso:
E quasi lampo ardente
Va saltellando il riso
Tra i muscoli del labro
Ove riede il cinabro.

I crinche in rete accolti
Lunga stagione ahi foro
Su l'omero disciolti
Qual ruscelletto d'oro
Forma attendon novella
D'artificiose anella.

Vigor novo conforta
L'irrequieto piede:
Natura ecco ecco il porta
Sì che al vento non cede
Fra gli utili trastulli
De' vezzosi fanciulli.

O mio tenero verso
Di chi parlando vai
Che studj esser più terso
E polito che mai?
Parli del giovinetto
Mia cura e mio diletto?

Pur or cessò l'affanno
Del morbo ond'ei fu grave:
Oggi l'undecim' anno
Gli porta il solsoave
Scaldando con sua teda
I figliuoli di Leda.

Simili or dunque a dolce
Mele di favi Iblèi
Che lento i petti molce
Scendete o versi miei
Sopra l'ali sonore
Del giovinetto al core.

O pianta di bon seme
Al suolo al cielo amica
Che a coronar la speme
Cresci di mia fatica
Salve in sì fausto giorno
Di pura luce adorno.

Vorrei di genïali
Doni gran pregio offrirti;
Ma chi diè liberali
Essere ai sacri spirti?
Fuor che la cetraa loro
Non venne altro tesoro.

Deh perchè non somiglio
Al Tèssalo maestro
Che di Tetide il figlio
Guidò sul cammin destro!
Ben io ti farei doni
Più che d'oro e canzoni.

Già con medica mano
Quel Centauro ingegnoso
Rendea feroce e sano
Il suo alunno famoso.
Ma non men che a la salma
Porgea vigore all'alma.

A luiche gli sedea
Sopra la irsuta schiena
Chiron si rivolgea
Con la fronte serena
Tentando in su la lira
Suon che virtude inspira.

Scorrea con giovanile
Man pel selvoso mento
Del precettar gentile;
E con l'orecchio intento
D'Eacide la prole
Bevea queste parole:

Garzonnato al soccorso
Di Greciaor ti rimembra
Perchè a la lotta e al corso
Io t'educai le membra.
Che non può un'alma ardita
Se in forti membri ha vita?

Ben sul robusto fianco
Stai; ben stendi dell'arco
Il nervo al lato manco
Onde al segno ch'io marco
Va stridendo lo strale
Da la cocca fatale.

Ma in vanse il resto oblìo
Ti avrò possanza infuso.
Non sai qual contro a dio
Fe' di sue forze abuso
Con temeraria fronte
Chi monte impose a monte?

Di Teti odi o figliuolo
Il ver che a te si scopre.
Dall'alma origin solo
Han le lodevol' opre.
Mal giova illustre sangue
Ad animo che langue.

D'Èaco e di Pelèo
Col seme in te non scese
Il valor che Tesèo
Chiari e Tirintio rese:
Sol da noi si guadagna
E con noi s'accompagna.

Gran prole era di Giove
Il magnanimo Alcide;
Ma quante egli fa prove
E quanti mostri ancide
Onde s'innalzi poi
Al seggio de gli eroi?

Altri le altere cune
Lascia o Garzon che pregi.
Le superbe fortune
Del vile anco son fregi.
Chi de la gloria è vago
Sol di virtù sia pago.

Onora o figlio il Nume
Che dall'alto ti guarda:
Ma solo a lui non fume
Incenso e vittim'arda.
È d'uopo Achille alzare
Nell'alma il primo altare.

Giustizia entro al tuo seno
Sieda e sul labbro il vero;
E le tue mani sieno
Qual albero straniero
Onde soavi unguenti
Stillin sopra le genti.

Perchè sì pronti affetti
Nel core il ciel ti pose?
Questi a Ragion commetti;
E tu vedrai gran cose:
Quindi l'alta rettrice
Somma virtude elice.

Sì bei doni del cielo
Nonon celar Garzone
Con ipocrito velo
Che a la virtù si oppone.
Il marchio ond'è il cor scolto
Lascia apparir nel volto.

Da la lor meta han lode
Figlio gli affetti umani.
Tu per la Grecia prode
Insanguina le mani:
Qua volgi qua l'ardire
De le magnanim' ire.

Ma quel più dolce senso
Onde ad amar ti pieghi
Tra lo stuol d'armi denso
Vengae pietà non nieghi
Al debole che cade
E a te grida pietade.

Te questo ognor costante
Schermo renda al mendico;
Fido ti faccia amante
E indomabile amico.
Cosìcon legge alterna
L'animo si governa.

Tal cantava il Centauro.
Baci il giovan gli offriva
Con ghirlande di lauro.
E Tetide che udiva
A la fera divina
Plaudìa dalla marina.


LA LAUREA

Quell'ospite è gentilche tiene ascoso
Ai molti bevitori
Entro ai dogli paterni il vino annoso
Frutto de' suoi sudori;
E liberale allora
Sul desco il reca di bei fiori adorno
Quando i Lari di lui ridenti intorno
Degno straniere onora:
E versata in cristalli empie la stanza
Insolita di Bacco alma fragranza.

Tal io la copia che de i versi accolgo
Entro a la mentesordo
Niego a le brame dispensar del volgo
Che vien di fama ingordo.
In van l'uomoche splende
Di beata ricchezzain van mi tenta
Sì che il bel suono de le lodi ei senta
Che dolce al cor discende:
E in van de' grandi la potenza e l'ombra
Di facili speranze il sen m'ingombra.

Ma quando poi sopra il cammin dei buoni
Mi comparisce innanti
Almache ornata di suoi propri doni
Merta l'onor dei canti
Allor da le segrete
Sedi del mio pensiero escono i versi
Atti a volar di viva gloria aspersi
Del tempo oltra le mete:
E donator di lode accorto e saggio
Io ne rendo al valor debito omaggio.

Ed or che la risorta insubre Atene
Con strana meraviglia
Le lunghe trecce a coronar ti viene
O di Pallade figlia
Io rapito al tuo merto
Fra i portici solenni e l'alte menti
M'innoltroe spargo di perenni unguenti
Il nobile tuo serto:
Nè mi curo se ai plausionde vai nota
Finge ingenuo rossor tua casta gota.

Ben soche donne valorose e belle
A tutte l'altre esempio
Veggon splender lor nomi a par di stelle
D'eternità nel tempio:
E so ben che il tuo sesso
Tra gli ufizi a noi cari e l'umil' arte
Puote innalzarsi; e ne le dotte carte
Immortalar sè stesso.
Ma tu gisti colàVergin preclara
Ove di molle piè l'orma è più rara.

Sovra salde colonne antica mole
Sorge augusta e superba
Sacra a coleiche dell'umana prole
Frenandoi dritti serba.
Ivi la Dea si asside
Custodendo del vero il puro foco;
Ivi breve sul marmo in alto loco
Il suo volere incide:
E già da quello stile aureosincero
Apprendea la giustizia il mondo intero.

Ma d'ignari cultor turbe nemiche
Con temerario piede
Osàro entrar ne le campagne apriche
Ove il gran tempio siede:
E la serena piaggia
Occuparon così di spini e bronchi
Che fra i rami intricati e i folti tronchi
A pena il sol vi raggia;
E l'aere inerte per le fronde crebre
V'alza dense all'intorno atre tenèbre.

Ben tu di Saffo e di Corinna al pari
O donne altre famose
Per li colli di Pindo ameni e vari
Potevi coglier rose:
Ma tua virtù s'irrìta
Ove sforzo virile a pena basta;
E nell'aspro sentierche al piè contrasta
Ti cimentasti ardita
Qual già vide ai perigli espor la fronte
Fiere vergini armate il Termodonte.

Or poitornando dall'eccelsa impresa
Quì sul dotto Tesino
Scoti la face al sacro foco accesa
Del bel tempio divino:
E dall'arguta voce
Tal di raro saper versi torrente
Che il corso a seguitar de la tua mente
Vien l'applauso veloce
Abbagliando al fulgor de' raggi tui
La invidiache suol sempre andar con lui.

Chi può narrar qual dal soave aspetto
E da' verginei labri
Piove ignoto finora almo diletto
Su i temi ingrati e scabri?
Ecco la folta schiera
De' giovani vivaci a te rivolta
Vede sparger di fiormentre t'ascolta
Sua nobile carriera:
E al novo esempio de la tua tenzone
Sente aggiugnersi al fianco acuto sprone.

Ai detti al volto a la grand'alma espressa
Ne' fulgid' occhi tuoi
Ognun ti crederìa Temide stessa
Che rieda oggi fra noi:
Se non che Onegliaaltrice
Nel fertil suolo di palladj ulivi
Alza ai trionfi tuoi gridi giulivi;
E fortunata dice:
Dopo il gran Doriaa cui died' io la culla
È il mio secondo sol questa fanciulla.

E il buon parenteche su l'alte cime
Di gloria oggi ti mira
A forza i moti del suo cor comprime
E pur con sè s'adira
Ma poi cotanto è grande
La piena del piacerche in sen gli abbonda
Che l'argin di modestia alfine innonda
E fuor trabocca e spande:
E anch'ei col piantoche celar desìa
Grida tacendo: questa figlia è mia.

Ma dal cimento glorïoso e bello
Tanto stupore è nato
Che già reca per te premio novello
L'erudito Senato.
Già vien su le tue chiome
Di lauro a serpeggiar fronda immortale:
E fra lieto tumulto in alto sale
Strepitoso il tuo nome;
E il tuo sesso leggiadro a te dà lode
De' novi onorionde superbo ei gode.

Oh amabil sessoche su l'alme regni
Con sì possente incanto
Qual' alma generosa è che si sdegni
Del novello tuo vanto?
La tirannìa virile
Fremae ti miri a gli onorati seggi
Salir togatoe de le sacre leggi
Interprete gentile
Or che d'Europa ai popoli soggetti
Fin dall'alto dei troni anco le detti.

Tu seiche di ragione il dolce freno
Sul forte Russo estendi;
Tu che del chiaro Lusitan nel seno
L'antico spirto accendi.
Per te Insubria beata
Per te Germania è gloriosa e forte;
Tal che al favor de le tue leggi accorte
Spero veder tornata
L'età dell'oroe il viver suo giocondo
Se tu governied ammaestri il mondo.

E l'albero medesmoonde fu colto
Il ramoscelche ombreggia
A la dotta Donzella il nobil volto
Convien che a te si deggia.
In esso alta Regina
Tien conversi dal trono i suoi bei rai;
Tal che lieto rinverdee più che mai
Al cielo s'avvicina.
Quanto è bello a veder che il grato alloro
Doni al sesso di lei pompae decoro!

Ma già la Fama all'impaziente Oneglia
Le rapid' ali affretta;
E gridando le dice: olàti sveglia;
E la tua luce aspetta.
Insubriaonde romore
Va per mense ospitali ed atti amici
Sa gli stranieri ancor render felici
Nel calle dell'onore.
Or quaiVergine illustreallegri giorni
Ti prepara la patria allor che torni?

Pari alla gloria tua per certo a pena
Fu quellaonde si cinse
Colà d'Olimpia nell'ardente arena
Il lottator che vinse;
Quando tra i lieti gridi
Il guadagnato serto al crin ponea;
E col premio d'onorche l'uomo bea
Tornava ai patrj lidi;
E scotendo le corde amiche ai vati
Pindaro lo seguìa con gl'Inni alati.


LA MUSICA

Aborro in su la scena
Un canoro elefante
Che si strascina a pena
Su le adipose piante
E manda per gran foce
Di bocca un fil di voce.

Ahi pera lo spietato
Genitor che primiero
Tentò di ferro armato
L'esecrabile e fiero
Misfatto onde si duole
La mutilata prole.

Tanto dunque de' grandi
Può l'ozïoso udito
Che a' rei colpi nefandi
Sen corra il padre ardito
Peggio che fera od angue
Crudel contro al suo sangue?

Oh misero mortale
Ove cerchi il diletto?
Ei tra le placid' ale
Di natura ha ricetto:
Là con avida brama
Susurrando ti chiama.

Ella femminea gola
Ti diedeonde soave
L'aere se ne vola
Or acuto ora grave;
E donò forza ad esso
Di rapirti a te stesso.

Tu non però contento
De' suoi doniprorompi
Contro a lei vïolento
E le sue leggi rompi;
Cangi gli uomini in mostri
E lor dignità prostri.

Barbara gelosìa
Nel superbo orïente
So che pietade oblìa
Ver la misera gente
Che da lascivo inganno
Assecura il tiranno:

E folle rito al nudo
Ultimo Caffro impone
Il taglio atroce e crudo
Onde al molle garzone
Il decimo funesto
Anno sorge sì presto.

Ma a te in mano lo stile
Italo genitore
Pose cura più vile
Del geloso furore:
Te non error ma vizio
Spinge all'orrido ufizio.

Arresta empio! Che fai?
Se tesoro ti preme
Nel tuo figlio non l'hai?
Con le sue membra insieme
Empio! il viver tu furi
Ai nipoti venturi.

Oh cielo! E tu consenti
D'oro sì cruda fame?
Nè più il foco rammenti
Di Pentapoli infame
Le cui orribil' opre
Il nero àsfalto copre?

No. Del tesorche aperto
Già ne la mente pingi
Tu non andrai per certo
Lieto come ti fingi
Padre crudel! Suo dritto
De' avere il tuo delitto.

L'oltraggioch'or gli è occulto
Il tuo tradito figlio
Ricorderassi adulto;
Con dispettoso ciglio
Da la vista fuggendo
Del carnefice orrendo.

In vano in van pietade
Tu cercherai: chè l'alma
In lui depressa cade
Con la troncata salma;
Ed impeto non trova
Che a virtude la mova.

Misero! A lato a i regi
Ei sederà cantando
Fastoso d'aurei fregi;
Mentre tu mendicando
Andrai canuto e solo
Per l'Italico suolo:

Per quel suoloche vanta
Gran riti e leggi e studj;
E nutre infamia tanta
Che a gli Affricani ignudi
Benchè tant'alto saglia
E a i barbari lo agguaglia.


LA RECITA DE' VERSI

Qual fra le mense loco
Versi otterrannoche da nobil vena
Scendano; e all'acre foco
Dell'arte imponga la sottil Camena
Meditante lavoro
Che sia di nostra età pregio e decoro?

Non odi alto di voci
I convitati sollevar tumulto
Che i Centauri feroci
Fa rammentarquando con empio insulto
All'ospite di liti
Sparsero e guerra i nuzïali riti?

V'ha chi al negato Scaldi
Con gli abeti di Cesare veleggia;
E la vast'onda e i saldi
Muri sprezzatigià nel cor saccheggia
De' Batavi mercanti
Le molto di tesoro arche pesanti.

A Giove altri l'armata
Destra di fulmin spoglia; ed altri a volo
Sopra l'aria domata
Osa portar novelle genti al polo.
Tal sedendo confida
Ciascuno; e sua ragion fa delle grida.

Vincere il suon discorde
Speri colui che di clamor le folli
Mènadiallor che lorde
Di mosto il viso balzan per li colli
Vince; econ alta fronte
Gonfia d'audace verso inezie conte.

O gran silenzio intorno
A sè vanti compor Fauno procace
Se del pudore a scorno
Annunzia carme onde ai profani piace;
Da la cui lubric'arte
Saggia matrona vergognando parte.

Orecchio ama placato
La musa e mente arguta e cor gentile.
Ed iose a me fia dato
Ordir mai su la cetra opra non vile
Non toccherò già corda
Ove la turba di sue ciance assorda.

Ben de' numeri miei
Giudice chiedo il buon cantorche destro
Volse a pungere i rei
Di Tullio i casi; ed ornovo maestro
A far migliori i tempi
Gli scherzi usa del Frigio e i propri esempj.

O te Paolache il retto
E il bello atta a sentir formaro i Numi;
Teche il piacer concetto
Mostri dolce intendendo i duo bei lumi
Onde spira calore
Soavemente periglioso al core.


LA TEMPESTA

Odi Alcone il muggito
Nell'alto mar de la crudel tempesta
E la folgor funesta
Che con tuono infinito
Scoppia da lungie rimbombar fa il lito.

Ahimè miseri legni
Che cupidigia e ambizïon sospinse;
E facil' aura vinse
Per li mobili regni
Lor speme a sciorre oltre gli Erculei segni!

Altro sperò giocondo
Tornar da ignote prezïose cave;
E d'oro e gemme grave
Opprimer col suo pondo
De la spiaggia nativa il basso fondo.

Credeva altro d'immani
Mostri oleosi preda far nell'alto;
Altro feroce assalto
Dare a gli abeti estrani
E dell'altrui tesoro empier suoi vani.

Ma il tuono e il vento e l'onda
Terribilmente agita tutti e batte;
Nè le vele contratte
Nè da la doppia sponda
Il forte remigarl'urto che abbonda

Vince nè frena. E in tanto
Serpendo incendïoso il fulmin fischia:
E fra l'orribil mischia
De' venti e il buio manto
Del cieloognun paventa essere infranto.

E già più l'un non puote
L'alto durar tormento: uno al destino
Fa contrario cammino;
Un contro all'aspra cote
Di cieco scoglio il fianco urta e percote:

E quale il flutto avverso
Beve già rotto: e qual del multiforme
Monte dell'acque enorme
Sopra di lui riverso
Cede al gran peso; e alfin piomba sommerso.

Alconnon ti rammenti
Quel che superbo per ornata prora
Veleggiava finora
Di purpurei lucenti
Segni ingombrando gli alberi potenti?

A quello d'ambo i lati
Ignivome s'aprìan di bronzo bocche;
Onde pari a le rocche
Forza sprezzava e agguati
D'abete o pin contro al suo corso armati.

E l'onde allettatrici
Stendeansi piane a lui davanti: e ai grembi
Fregiati d'aurei lembi
De' canapi felici
Spiravan ostinati i venti amici:

Mentre Glauco e i Tritoni
Pur con le braccia lo spingean più forte;
E da le conche torte
Lusingavano i buoni
Augurj intorno a lui con alti suoni.

E lungo i pinti banchi
Le Dee del mar sparse le chiome bionde
Carolavan per l'onde
Che lucide su i bianchi
Dorsi fuggian strisciando e sopra i fianchi.

Fra tantosenza alcuno
Il beato nocchier timor che il roda
Dall'alto de la proda
Al mattin primo e al bruno
Vespro così cantava inni a Nettuno:

A te sia lode o nume
Di cui son l'opre ognor potenti e grandi
O se nel suol ti spandi
Con le fuggenti spume
O di Cinzia t'innalzi al chiaro lume.

Tu col tridente altero
Al tuo piacer la terra ampia dividi;
Tu fra gli opposti lidi
Del duplice emispero
Scorrevole a i mortali apri sentiero.

Rota per te le nuove
Con subitaneo piè veci Fortuna:
E quelloche con una
Occhiata il tutto move
Non è di te maggior superno Giove.

Tale adulava. Or mira
Or miraAlconcome del porto in faccia
Lungi dal porto il caccia
Nettuno stesso; e a dira
Sorte con gli altri lo trasporta e aggira!

E la ricchezza imposta
Indi con la tornante onda ritoglie;
E le lacere spoglie
Ne gittae la scomposta
Mole a traverso dell'arida costa.

Ahi qual furore il mena
Pur contra noi d'ogni avarizia schivi
Che sotto a i sacri ulivi
Radendo quest'arena
Peschiam canuti con duo remi a pena!

Alconche più s'aspetta?
Ecco il turbine rioche omai n'è sopra.
Lascia che il flutto copra
La sdrucita barchetta;
E noi nudi salvianci al sasso in vetta.

O giovanettipiante
Ponete in terra; quì pomi inserite;
Quì gli armenti nodrite
Sotto a le leggi sante
De la natura in suo voler costante.

Quì semplici a regnare;
Quì gli utili prendete a ordir consigli;
Nè fidate de' figli
La sorteo de le care
Spose a l'arbitrio del volubil mare.


LE NOZZE

E pur dolce in su i begli anni
De la calda età novella
Lo sposar vaga donzella
Che d'amor già ne ferì.

In quel giorno i primi affanni
Ci ritornano al pensiere:
E maggior nasce il piacere
Da la pena che fuggì.

Quando il sole in mar declina
Palpitare il cor si sente:
Gran tumulto è ne la mente:
Gran desìo ne gli occhi appar.

Quando sorge la mattina
A destar l'aura amorosa
Il bel volto de la sposa
Si comincia a contemplar.

Bel vederla in su le piume
Riposarsi al nostro fianco
L'un de' bracci nudo e bianco
Distendendo in sul guancial:

E il bel crine oltra il costume
Scorrer libero e negletto;
E velarle il giovin petto
Ch'or discende or alto sal.

Bel veder de le due gote
Sul vivissimo colore
Splender limpido madore
Onde il sonno le spruzzò:

Come rose ancora ignote
Sovra cui minuta cada
La freschissima rugiada
Che l'aurora distillò.

Bel vederla all'improvviso
I bei lumi aprire al giorno;
E cercar lo sposo intorno
Di trovarlo incerta ancor:

E poi schiudere il sorriso
E le molli parolette
Fra le grazie ingenue e schiette
De la brama e del pudor.

O Garzone amabil figlio
Di famosi e grandi eroi
Sul fiorir de gli anni tuoi
Questa sorte a te verrà.

Tu domane aprendo il ciglio
Mirerai fra i lieti lari
Un tesorche non ha pari
E di grazia e di beltà.

Ma oimè come fugace
Se ne va l'età più fresca
E con lei quel che ne adesca
Fior sì tenero e gentil!

Come presto a quel che piace
L'uso toglie il pregio e il vanto;
E dileguasi l'incanto
De la voglia giovanil!

Te beato in fra gli amanti
Che vedrai fra i lieti lari
Un tesorche non ha pari
Di bellezza e di virtù!

La virtù guida costanti
A la tomba i casti amori
Poi che il tempo invola i fiori
De la cara gioventù.


LA CADUTA

Quando Orïon dal cielo
Declinando imperversa;
E pioggia e nevi e gelo
Sopra la terra ottenebrata versa

Me spinto ne la iniqua
Stagioneinfermo il piede
Tra il fango e tra l'obliqua
Furia de' carri la città gir vede;

E per avverso sasso
Mal fra gli altri sorgente
O per lubrico passo
Lungo il cammino stramazzar sovente.

Ride il fanciullo; e gli occhi
Tosto gonfia commosso
Che il cubito o i ginocchi
Me scorge o il mento dal cader percosso.

Altri accorre; e: oh infelice
E di men crudo fato
Degno vate! mi dice;
E seguendo il parlarcinge il mio lato

Con la pietosa mano;
E di terra mi toglie;
E il cappel lordo e il vano
Baston dispersi ne la via raccoglie:

Te ricca di comune
Censo la patria loda;
Te sublimete immune
Cigno da tempo che il tuo nome roda

Chiama gridando intorno;
E te molesta incìta
Di poner fine al Giorno
Per cui cercato a lo stranier ti addita.

Ed ecco il debil fianco
Per anni e per natura
Vai nel suolo pur anco
Fra il danno strascinando e la paura:

Nè il sì lodato verso
Vile cocchio ti appresta
Che te salvi a traverso
De' trivii dal furor de la tempesta.

Sdegnosa anima! prendi
Prendi novo consiglio
Se il già canuto intendi
Capo sottrarre a più fatal periglio.

Congiunti tu non hai
Non amichenon ville
Che te far possan mai
Nell'urna del favor preporre a mille.

Dunque per l'erte scale
Arrampica qual puoi;
E fa gli atrj e le sale
Ogni giorno ulular de' pianti tuoi.

O non cessar di porte
Fra lo stuol de' clienti
Abbracciando le porte
De gl'imiche comandano ai potenti;

E lor mercè penètra
Ne' recessi de' grandi;
E sopra la lor tetra
Noja le facezie e le novelle spandi.

Ose tu saipiù astuto
I cupi sentier trova
Colà dove nel muto
Aere il destin de' popoli si cova;

E fingendo nova esca
Al pubblico guadagno
L'onda sommovie pesca
Insidioso nel turbato stagno.

Ma chi giammai potrìa
Guarir tua mente illusa
O trar per altra via
Te ostinato amator de la tua Musa?

Lasciala: opari a vile
Mimail pudore insulti
Dilettando scurrile
I bassi genj dietro al fasto occulti.

Mia bileal fin costretta
Già troppodal profondo
Petto rompendogetta
Impetuosa gli argini; e rispondo:

Chi sei tuche sostenti
A me questo vetusto
Pondoe l'animo tenti
Prostrarmi a terra? Umano seinon giusto.

Buon cittadinoal segno
Dove natura e i primi
Casi ordinàrlo ingegno
Guida cosìche lui la patria estimi.

Quando poi d'età carco
Il bisogno lo stringe
Chiede opportuno e parco
Con fronte liberalche l'alma pinge.

E se i duri mortali
A lui voltano il tergo
Ei si facontro ai mali
Della costanza sua scudo ed usbergo.

Nè si abbassa per duolo
Nè s'alza per orgoglio.
E ciò dicendosolo
Lascio il mio appoggio; e bieco indi mi toglio.

Cosìgrato ai soccorsi
Ho il consiglio a dispetto;
E privo di rimorsi
Col dubitante piè torno al mio tetto.


IL PERICOLO

In vano in van la chioma
Deforme di canizie
E l'anima già doma
Dai casie fatto rigido
Il senno dall'età

Si crederà che scudo
Sien contro ad occhi fulgidi
A mobil seno a nudo
Braccio e all'altre terribili
Arme della beltà.

Gode assalir nel porto
La contumace Venere;
Erotto il fune e il torto
Ferrorapir nel pelago
Invecchiato nocchier;

E per novo periglio
Di tempesteall'arbitrio
Darlo del cieco figlio
Esultando con perfido
Riso del suo poter.

Ecco me di repente
Me stessoper l'undecimo
Lustro di già scendente
Sentii vicino a porgere
Il piè servo ad amor:

Benchè gran tempo al saldo
Animo in van tentassero
Novello eccitar caldo
Le lusinghiere giovani
Di mia patria splendor.

Tu dai lidi sonanti
Mandastio torbid'Adria
Chi sola de gli amanti
Potea tornarmi a i gemiti
E al duro sospirar;

Donna d'incliti pregi
Là fra i togati principi
Che di consigli egregi
Fanno l'alta Venezia
Star libera sul mar.

Parve a mirar nel volto
E ne le membra Pallade
Quandol'elmo a sè tolto
Fin sopra il fianco scorrere
Si lascia il lungo crin:

Se non che a lei dintorno
Le volubili grazie
Dannosamente adorno
Rendeano ai guardi cupidi
L'almo aspetto divin.

Qualse parlandoeguale
A gigli e rose il cubito
Molle posava? Quale
Se improvviso la candida
Mano porgea nel dir?

E a le nevi del petto
Chinandosi da i morbidi
Veli non ben costretto
Fiero dell'alme incendio!
Permetteva fuggir?

In tanto il vago labro
E di rara facondia
E d'altre insidie fabro
Gìa modulando i lepidi
Detti nel patrio suon.

Che più? Da la vivace
Mente lampi scoppiavano
Di poetica face
Che tali mai non arsero
L'amica di Faon;

Nè quando al coro intento
De le fanciulle Lesbie
L'errante vïolento
Per le midolle fervide
Amoroso velen;

Nè quando lo interrotto
Dal fuggitivo giovane
Piacer cantavasotto
A la percossa cetera
Palpitandole il sen.

Ahimè quale infelice
Giogo era pronto a scendere
Su la incauta cervice
S'io nel dolce pericolo
Tornava il quarto dì!

Ma con veloci rote
Mequantunque mal docile
Ratto per le remote
Campagne il mio buon Genio
Opportuno rapì.

Tal che in tristi catene
Ai garzoni ed al popolo
Di giovanili pene
Io canuto spettacolo
Mostrato non sarò.

Bensìnudrendo il mio
Pensier di care immagini
Con soave desìo
Intorno all'onde Adriache
Frequente volerò.


PIRAMO E TISBE
AD UNO IMPROVVISATORE

Ahi qual fiero spettacolo
Vegg' ioche il cor mi fiede
Sotto a la luna pallida
Là di quel gelso al piede?

Una donzella e un giovane
In loro età più acerba
Ecco trafitti giacciono
Insanguinando l'erba.

Oh dioche orror! La misera
Sembra morir pur ora;
E il crudo acciar nel tiepido
Seno sta immerso ancora.

L'altro comincia a spargere
Già le membra di gelo;
E ne la mano languida
Tien lacerato un velo.

Ahi per gelosa furia
Un tanto error commise
Il dispietato giovane...
Ma chi lui stesso uccise?

Intendo. Aperse un invido
Rivale i bianchi petti
O un parente implacabile
Ai furtivi diletti.

Indi fuggendoil barbaro
Ferro lasciò confitto
Che testimon del perfido
Esser potea delitto.

Ma tu sorridi? Ingannomi
Forse nel mio pensiero?
Tu dal crudel mi libera
Dubbio; e mi spiega il vero.

A te diè di conoscere
Le cose Apollo il vanto;
E dilettarne gli uomini
Col divino tuo canto.


ALCESTE
AL MEDESIMO

Ne' più remoti secoli
Apparver strane cose
Che poi son favolose
Credute a questa età.

Lascio conversi in alberi
In sassi in fonti in fiumi
E gli uomini ed i numi
Cose che il vulgo sa.

Sol parlo d'un miracolo
Ch'or niegan le persone
Non so se per ragione
O per malignità.

Questo è una donna egregia
Che per salvar da morte
Uno infermo consorte
Lieta a morir sen va.

Ed eida morte libero
E da la moglie insieme
Odia la vita e geme
E vuol la sua metà.

Fin che un amico intrepido
Per lui sceso a lo inferno
La toglie al fato eterno;
E intatta a lui la dà.

AlcesteAdmeto ed Ercole
A te gentil cantore
Poetico furore
Veggo che inspiran già.

Dunque il bel caso pingine;
E fa de' prischi tempi
Veri parer gli esempi
D'amore e d'amistà.

Sai che d'Admeto pascere
Febo degnò gli armenti:
Sai che de' suoi lamenti
Ebbe di poi pietà.

Oh quanto a tai memorie
Avrà diletto! Oh quanto
Dal sublime tuo canto
Rapito penderà!


LA MAGISTRATURA
PER
CAMMILLO GRITTI
PRETORE DI VICENZA NEL 1787

Se robustezza ed oro
Utili a far cammino il ciel mi desse
Vedriansi l'orme impresse
De le roteche lievi al par di Coro
Me porterebbonsenza
Giammai posarsia la gentil Vicenza:

Onde arguta mi viene
E penetrante al cor voce di donna
Che vaga e bella in gonna
Dell'altro sesso anco le glorie ottiene;
Fra le Muse immortali
Con fortunato ardir spiegando l'ali.

E da gli occhi di lei
Oltre lo ingegno mio fatto possente
Rapido da la mente
Accesa il desïato Inno trarrei
Colui ponendo segno
Che de gli onori tuoiVicenzaè degno.

Che dissi? Abbian vigore
Di membra quei che morir denno ignoti;
E sordidi nipoti
Spargan d'avi lodati aureo splendore.
Noi delicatie nudi
Di tesorche nascemmo ai sacri studj

Noiquale in un momento
Da mosso speglio il suo chiaror traduce
Riverberata luce
Senza fatica in cento parti e in cento
Noi per monti e per piani
L'agile fantasìa porta lontani.

Salute a tesalute
Cittàcui da la Berica pendice
Scende la copiaaltrice
De' popolicoperta di lanute
Pelli e di sete bionde
Cingendo al crin con spiche uve gioconde.

A te d'aere vivace
A te il ciel di salubri acque fe' dono.
Caro tuo pregio sono
Leggiadre donnee giovani a cui piace
Ad ogni opra gentile
L'animo esercitar pronto e sottile.

Il verde piano e il monte
Onde sì ricca seicaccian la infame
Necessitàche brame
Cova malvage sotto al tetro fronte;
Mentre tu l'arti opponi
All'ozio vil corrompitor de' buoni.

E lungi da feroce
Licenza e in un da servitude abbietta
Ne vai per la diletta
Strada di libertà dietro a la voce
Onde te stessa reggi
De' bei costumi tuoide le tue leggi.

Leggiche fin dagli anni
Prischi non tolse il domator Romano;
Nè cancellàr con mano
Sanguinolenta i posteri tiranni;
Fin che il Lione altero
Te amica aggiunse al suo pacato impero.

E quei mutar non gode
Il consueto a te ordin vetusto;
Ma generoso e giusto
Vuol che ne venga vindice e custode
Al varïar de' lustri
Fresco valor degli ottimati illustri.

Ahi! quale a me di bocca
Fugge parlarche te nel cor percote
A cui già su le gote
Con le lagrime sparso il duol trabocca
E par che solo un danno
Cotanti beni tuoi volga in affanno!

Lassa! davanti al tempio
Che sul tuo colle tanti gradi sale
Supplicavi che uguale
A un secol fosse con novello esempio
Il quinquennio sperato
Quando l'inclito GRITTI a te fu dato.

Ed eccoa pena lieto
Sopra l'aureo sentier battea le penne
A fulminarlo venne
Repentino cadendo alto decreto
Chequasi al vento foglie
Ogni speranza tua dissipa e toglie.

E qual dall'anelante
Suo sen divelto innanzi tempo vede
Lungi volgere il piede
Nova tenera sposa il caro amante
Che tromba e gloria avita
Per la patria salute altronde invita:

Così l'eroe tu miri
Da te partirsi: e di te stessa in bando
Vedova afflitta errando
E di querele empiendo e di sospiri
I fori ed i teatri
E le vie già sì belle e i ponti e gli atrj

E i templi a le divine
Cure sagratiche di te sì degni
De' tuoi famosi ingegni
Ahimè! l'arte non pose a questo fine
Altro più ben non godi
Che tra gli affanni tuoi cantar sue lodi.

Non già perch'ei non porse
Le mani a l'oro o a le lusinghe il petto;
Nè sopra l'equo e il retto
Con l'arbitro voler giammai non sorse;
Nè le fidate a lui
Spada o lanci detorse in danno altrui.

Vile dell'uomo è pregio
Non esser reo. Costui da i chiari apprese
Atavi donde scese
D'alte glorie a infiammar l'animo egregio
E a gir dovunque in forme
Più insigni de' miglior splendano l'orme.

Chi sì benigno e forte
Di Temide impugnò l'util flagello?
O chi pudor sì bello
Diede all'augusta autorità consorte?
O con sì lene ciglio
Fe' l'imperio di lei parer consiglio?

Davanti a più maturo
Giudizio le civili andar fortune
O starsene il comune
Censo in maggior frugalità securo
Quando giammai si vide
Ovunque il giusto le sue norme incide?

Eise il dover lo impose
Al veder lineeal provveder fu pardo;
Ei del popolo al guardo
Gli arcani altruinon sè medesmo ascose;
Nè occulto orecchio sciolse
Ma solenne tra i fasci il vero accolse.

Ei gli audaci repressi
Tenne con l'alma dignità del viso;
Ei con dolce sorriso
Poi che del grado a sollevar gli oppressi
Tutto il poter consunse
A la giustizia i beneficj aggiunse.

E tal suo zelo sparse
Che grande a i grandial cittadino pari
Uom comune ai volgari
Rettorgiudicepadrea tutti apparse;
Destando in tuttiestreme
Coseamicizia e riverenza insieme.

Ben chiamarsi beata
Può fra povere balze e ghiacci e brume
Gente cui sia dal nume
Simil virtude a preseder mandata.
Or qual fu tua ventura
Cittàcui tanto il ciel ride e natura!

Ma balsamoche tolto
Vien di sotterrae s'apre al chiaro giorno
Subitamente intorno
Con eterea fragranza erra disciolto;
Tal che il senso lo ammira
E ognun di possederne arde e sospira.

Quale stuporse brama
Del nobil figlio al gran Senato nacque;
E repentefra l'acque
Onde lungi provvedea sè il richiama?
Di tanto senno ai raggi
Voti non sorser maialtro che saggi.

Non vedi quanti aduna
Ferri e fochi su l'onda e su la terra
Vasto mostro di guerra
Che tre Imperi commette a la Fortuna;
E con terribil faccia
Anco l'altrui securità minaccia?

Or convien che s'affretti
Cotanto a le superbe ire vicina
Del mar l'alta Regina
Il suo fianco a munir d'uomini eletti
Ov'ardan le sublimi
Anime di color che opposer primi

Al rio furore esterno
Il valor la modestia ed i consigli;
E dai miseri esigli
Fecer l'Adria innalzarsi a soglio eterno;
E sonar con preclare
Opre del nome lor la terra e il mare.

GodiVicenza mia
Che il GRITTI a fin sì glorïoso or vola:
E il tuo dolor consola
Mirando qual segnò splendida via
Co' brevi esempi suoi
Alla virtù di chi verrà da poi.


IN MORTE DEL MAESTRO SACCHINI

Te con le rose ancora
Della felice gioventù nel volto
Vidi e conobbiahi tolto
Sì presto a noi da la fatal tua ora
O di suoni divini
Pur dianzi egregio trovator SACCHINI!

Maschia beltà fiorìa
Nell'alte membra; dai vivaci lumi
Splendido di costumi
E di soavi affetti indizio uscìa:
Il labbro era potente
Dell'animo lusinga e de la mente.

All'armonico ingegno
Quante volte fe' plauso; e vinta poi
Da gli altri pregi tuoi
Male al tenero cor pose ritegno
Damigella immatura
O matrona di sè troppo secura!

Ma perfido o fastoso
Te giammai non chiamò tardi pentita:
Nè d'improvviso uscita
Madre sgridò nè furibondo sposo
Te ingenuoe del procace
Rito de' tuoi non facile seguace.

Amò de' bei concenti
Empier la tromba sua poscia la Fama;
Tal che d'emula brama
Arser per te le più lodate genti
Che Italia chiudao l'Alpe
Da noi rimovao pur l'Erculea Calpe.

E spesso a breve oblìo
La da lui declinante in novo impero
Il Britanno severo
America lasciò: tanto il rapìo
Non avveduto ai tristi
Casil'arguzia onde i tuoi modi ordisti.

Ose la tua dal mare
Arte poi venne a popol più faceto
Nel teatro inquieto
Tacquer le ardenti musicali gare;
E in te sol uno immoti
Stetter dei cori e de l'orecchio i voti:

Poi che da' tuoi pensieri
Mirabile di suoni ordin si schiuse
Che per l'aria diffuse
Non peranco al mortal noti piaceri
O se tu amasti vanto
Dare a i mobili plettrio pure al canto.

Fra la scenica luce
Ben più superbi strascinaron gli ostri
I prezïosi mostri
Che l'Italo crudele ancor produce;
E le avare sirene
Gravi a l'alme speràro impor catene;

Quando su le sonore
Labbra di lor tuo nobil estro scese;
E novi accenti apprese
Delle regali vergini al dolore
O ne' tragici affanni
Turbò di modulate ire i tiranni.

Ma tudel non virile
Gregge sprezzando i folli orgogli e l'oro
Innalzasti il decoro
Della bell'arte tuaspirto gentile
Di liberi diletti
Sol avido bear gli umani petti.

Nèse talor converse
La non cieca Fortuna a te il suo viso;
E con lieto sorriso
Fulgido di tesoro il lembo aperse
Indivisi a gli amici
I doni a te di lei parver felici.

Ahi sperava a le belle
Sue spiagge Italia rivederti alfine;
Coronandoti il crine
Le già cresciute a lei fresche donzelle
Use di te le lodi
Ascoltar da le madri e i dolci modi!

Ed ecco l'atra mano
Alzò coleicui nessun pregio move;
E tecercante nuove
Grazie lungo il sonoro ebano in vano
Percosse; e di famose
Lagrime oggetto in su la Senna pose.

Nè gioconde pupille
Di cara donnanè d'amici affetto
Che tante a te nel petto
Valean di senso ad eccitar faville
Più desteranno arguto
Suono dal cener tuo per sempre muto.


IL DONO
PER LA MARCHESA
PAOLA CASTIGLIONI

Questeche il fero Allobrogo
Note piene d'affanni
Incise col terribile
Odiator de' tiranni
Pugnaleonde Melpomene
Lui fra gl'Itali spirti unico armò;

Come oh come a quest'animo
Giungon soavi e belle
Or che la stessa Grazia
A me di sua man dielle
Dal labbro sorridendomi
E dalle lucionde cotanto può!

Me per l'urto e per l'impeto
De gli affetti tremendi
Me per lo cieco avvolgere
De' casie per gli orrendi
Dei gran re precipizii
Ove il coturno camminando va

Segue tua dolce immagine
Amabil donatrice
Grata spirando ambrosia
Su la strada infelice;
E in sen nova eccitandomi
Mista al terrore acuta voluttà:

O sia che a me la fervida
Mente ti mostriquando
In divin modie in vario
Sermondissimulando
Versi d'ingegno copia
E saper che lo ingegno almo nodrì:

O sia quando spontaneo
Lepor tu mesci a i detti;
E di gentile aculeo
Altrui pungi e diletti
Mal cauto da le insidie
Che de' tuoi vezzi la natura ordì.

Caro doloree specie
Gradevol di spavento
È mirar finto in tavola
E squallidoe di lento
Sangue rigato il giovane
Che dal crudo cinghiale ucciso fu.

Ma sovra lui se pendere
La madre de gli amori
Cingendol con le rosee
Braccia si vedei cori
Oh quanto allor si sentono
Da giocondo tumulto agitar più!

Certo maggiorma simile
Fra le torbide scene
Senso in me desta il pingermi
Tue sembianze serene;
E all'atre idee contessere
I bei pregionde sol sei pari a te.

Ben porteranno invidia
A' miei novi piaceri
Quant'altri a scorrer prendano
I volumi severi.
Che farse amico genio
Sì amabil donatrice a lor non diè?


LA GRATITUDINE
PER
ANGELO MARIA DURINI
CARDINALE

Parco di versi tessitor ben fia
Che me l'Italia chiami;
Ma non sarà che infami
Taccia d'ingrato la memoria mia.
Vieni o Cetra al mio seno;
E canto illustre al buon DURINI sciogli
Cui di fortuna dispettosi orgogli
Duro non stringon freno;
Sì che il corso non volga ovunque ei sente
Non ignobil favilla arder di mente.

Me pur dall'ombra de' volgari ingegni
Tolse nel suo pensiero;
E con benigno impero
Collocò repugnante in fra i più degni.
Me fatto idolo a lui
Guatò la invidia con turbate ciglia;
Mentre in tanto splendor gran meraviglia
A me medesmo io fui:
E sdegnoso pudore il cor mi punse
Che all'alta cortesìa stimoli aggiunse.

Solenne offrir d'ambizïose cene
Onde frequente schiera
Sazia si parta e altera
Non è il favor di che a bearmi ei viene.
Mortalea cui la sorte
Cieco diede versar d'enormi censi
Sol di tai fasti celebrar sè pensi
E la turba consorte.
Chi sovra l'alta mente il cor sublima
Meglio sè stesso e i sacri ingegni estima.

Cetra il dirai; poi che a mostrarsi grato
Fuor che fidar nell'ali
De la fama immortali
Non altro mezzo all'impotente è dato.
Queiche al fianco de' regi
Tanto sparse di luce e tanto accolse
Fin che le chiome de la benda involse
Premio di fatti egregi
A meche l'orma umìl tra il popol segno
Scender dall'alto suo non ebbe a sdegno.

E spesso i Lari mieinovo stupore!
Vider l'ostro romano
Riverberar nel vano
Dell'angusta parete almo fulgore:
E di quell'ostro avvolti
Vider natìa bontàclemente affetto
Ingenui sensi nel vivace aspetto
Alteramente scolti
E quanti alma gentil modi ha più rari
Onde fortuna ad esser grande impari.

Qual nel mio petto ancor siede costante
Di quel dì rimembranza
Quando in povera stanza
L'alta forma di lui m'apparve innante!
Sirio feroce ardea:
Ed iofra l'acque in rustic' urna immerso
E a le Naiadi belle umil converso
Oro non già chiedea
Che a me portasser dall'alpestre vena
Ma te cara salute al fin serena.

Ed eccoi passi a quello dio conforme
Cui finse antico grido
Verso il materno lido
Dal Xanto ritornar con splendid'orme
Ei venne; e al capo mio
Vicin si assise; e da gli ardenti lumi
E da i novi spargendo atti e costumi
Sovra i miei mali oblìo
A me di me tali degnò dir cose;
Che tenerle fia meglio al vulgo ascose.

Io del rapido tempo in vece a scorno
Custodirò il momento
Ch'ei con nobil portento
Ruppe lo stuolche a lui venìa dintorno;
E solo accorse; e ratto
Menel sublime impazïente cocchio
Per la negata ohimè forza al ginocchio
Male ad ascender atto
Con la man sopportò lucidi dardi
Di sacre gemme sparpagliante a i guardi.

Come la Grecia un dì gl'incliti figli
Di Tindaro credette
Agili su le vette
De le navi apparir pronti a i perigli;
E di felice raggio
Sfavillando il bel crin biondo e le vesti
Curvare i rosei dorsi; e le celesti
Porger bracciacoraggio
Dando fra l'alte minaccianti spume
Al trepido nocchier caro al lor nume:

Tale in sembianti ei parve oltra il mortale
Uso benigni allora;
Onde quell'atto ancora
Di giocondo tumulto il cor m'assale:
Chè la manch'io mirai
Dianzi guidar l'amata genitrice
Ahi prima del morir tolta infelice
Del sole a i vaghi rai
E tolta dal veder per lei dal ciglio
Sparger lagrime illustri il caro figlio:

Quella manche gran tempo a lato a i troni
Onde frenato è il mondo
Di consiglio profondo
Carte seppe notar propizie a i buoni:
Quella chementre ei presse
De le chiare provincie i sommi seggi
Grate al popol donò salubri leggi;
Quella il mio fianco resse
Insigne aprendo a la fastosa etade
Spettacol di modestia e di pietade.

Uomoa cui la natura e il ciel diffuse
Voglie nel cor benigne
Qualor desìo lo spigne
L'arti a seguir de le innocenti Muse
Il germe in lui nativo
Con lo aggiunto vigor molce ed affina
Pari a nobile fiorcui cittadina
Mano in tiepido clivo
Educa e nutree da più ricche foglie
Cara copia d'odori all'aria scioglie.

Costuise poi dintorno a sè conteste
D'onori e di fortuna
Fulgide pompe aduna
Pregiate allor che a la virtù son veste
Costui de' proprj tetti
Suo ritroso favor già non circonda;
Ma con pubblica luce esce e ridonda
Sopra gl'ingegni eletti
Destando ardor per le lodevol' opre
Che le genti e l'età di gloria copre.

Non va la mente mia lungi smarrita
Co' versi lusinghieri;
Ma per varj sentieri
Dell'inclito DURIN l'indole addita:
Ecome falco ordisce
Larghi giri nel ciel volto a la preda;
Talbenchè vagabondo altri lo creda
Me il mio canto rapisce
A dir com'egli a me davanti egregio
Uditor tacque; ed al Licèo diè pregio.

Quando dall'alto disprezzando i rudi
Tempi a cui tutto è vile
Fuor che lucro servile;
Solo de' grandi entrar fu visto; e i nudi
Scanni repente cinse
De' lucidi spiegati ostri sedendo;
E al giovane drappelche a lui sorgendo
Di bel pudor si tinse
Lene compagno ad ammirar sè diede;
E grande a i detti miei acquistò fede.

Onde osai seguitar del miserando
Di Làbdaco nipote
Le terribili note
E il duro fato e i casi atroci e il bando;
Quale all'Attiche genti
Già il finse di colui l'altero carme
Che la patria onorò trattando l'arme
E le tibie piagnenti;
E de le regie dal destin converse
Sortie dell'arte inclito esempio offerse.

Simuli queiche più sè stesso ammira
fuggir l'aura odorosa
Che da i labbri di rosa
La bellissima lode a i petti inspira;
Lode figlia del cielo
Che mentre a la virtù terge i sudori
E soave origlier spande d'allori
A la fatica e al zelo
Nuove in alma gentil forze compone;
E gran premio dell'opre al meglio è sprone.

Io non per certo i sensi miei scortese
Di stoïco superbo
Manto celati serbo
Se propizia giammai voce a me scese.
Nè asconderò che grata
Ei da le labbra melodìa mi porse
Quando facil per me grazia gli scorse
Da me non lusingata;
Poi che tropp'alto al cor voto s'imprime
D'uom che ingegno e virtudi alzan sublime.

Purse lice che intero il ver si scopra
Dirò che più mi piacque
Allor che di me tacque
E del prisco cantor fe' plauso all'opra.
Sorser le giovanili
Menti da tanta autorità commosse:
Subita fiamma inusitata scosse
Gli spiriti gentili
Che con novo stupor dietro a gl'inviti
De la greca beltà corser rapiti.

Onde come il cultorche sopra il grembo
De' lavorati campi
Mira con fausti lampi
Stendersi repentino estivo nembo;
E tremolar per molta
Pioggia con fresco mormorìo le frondi;
E di novi al suo piè verdi giocondi
Rider la biada folta
Tal io fui lietoe nel pensier descrissi
Belle speranze a la mia Insubriae dissi:

Vedrò vedrò da le mal nate fonti
Che di zolfo e d'impura
Fiamma e di nebbia oscura
Scendon l'Italia ad infettar da i monti;
Vedrò la gioventude
I labbri torcer disdegnosi e schivi;
E a i limpidi tornar di Grecia rivi
Onde natura schiude
Almo saporche a sè contrario il folle
Secol non gustae pur con laudi estolle.

Questi è il Genio dell'arti. Il chiaro foco
Onde tutt'arde e splende
Irrequieto ei stende
Simile all'alto sol di loco in loco.
Il Campidoglio e Roma
Lui ancor biondo il crine ammirar vide
I supremi del bello esempi e guide
Che lunga età non doma;
E il concetto fervore e i novi auspicj
Largo versar di Pallade a gli amici.

Nè giàbenchè per rapida le penne
Strada d'onor levasse
Da sè rimote o basse
Le prime cure onde fu vago ei tenne:
O se con detti armati
D'integra fede e cor di zelo accenso
Osò l'ardua tentar fra nuvol denso
Mente de i re scettrati;
O se nel popol poi con miti e pure
Man le date spiegò verghe e la scure.

Però che dove o fra le reggie eccelse
Loco all'arti divine
O in umili officine
O in case ignote la fortuna scelse
Ivi amabil decoro
E saggia meraviglia al merto desta
Venne guidandoe largità modesta
E de le grazie il coro
Co' festevoli applausi ora discinti
Or de' bei nodi de le Muse avvinti.

Anzicome d'Alcide e di Tesèo
Suona che da le vive
Genti a le inferne rive
L'ardente cortesìa scender potèo;
Ed ei così la notte
Ruppe dove l'oblìo profondo giace;
E al lieto de la fama aere vivace
Tornò le menti dotte;
E l'opre lordopo molt'anni e lustri
Di sue vigilie allo splendor fe' illustri.

Tal che onorato ancor sul mobil etra
Va del suo nome il suono
Dove il chiaro Polono
Dell'arbitro vicino al fren s'arretra;
Dove il regal Parigi
Novi a sè fati oggi preparae dove
L'ombra pur anco del gran Tosco move
Che gli antiqui vestigi
Del saper discopersee fèo la chiusa
Valle sonar di così nobil Musa.

È ver chequali entro al lor fondo avito
I Fabrizi e i Cammilli
Tornar godean tranquilli
Pronti sempre del Tebro al sacro invito:
Tal di sè solo ei pago
Lungi dall'aura popolar s'invola;
E mentre il ciel più glorïosa stola
Forse d'ordirgli è vago
Tra le ville natali e l'aere puro
Da i flutti or sta d'ambizïon securo.

Ma i cari studj a lui compagni annosi
E a i popoli ed all'arti
I beneficj sparti
Son del suo corso splendidi riposi.
Vedi amplïarsi alterno
Di moli aspetto ed orti ed agri ameni
Onde quei che al suo merto accesser beni
E il tesoro paterno
Versa; e dovunque divertir gli piaccia
L'ozio da i campi e l'atra inopia caccia.

Vedi i portici e gli atrj ov'ei conduce
Il fervido pensiere
E le di libri altere
Paretiche del vero apron la luce:
O ch'ei di sè maestro
Nell'alto de le cose ami recesso
Gir meditandoo il plettro a lui concesso
Tentar con facil estro;
E in carmionde la bella alma si spande
Soavi all'amistà tesser ghirlande.

Ed ecco il tempio ovenegati altronde
Qual da novo Elicona
Premj all'ingegno ei dona;
E fiamme acri d'onore altrui diffonde.
Ecco ne' segni sculti
Quei che del nome lor la patria ornaro
Onde sol generoso erge all'avaro
Oblìo nobili insulti;
E quelle glorie a la città rivela
Ch'ella a sè stessa ingiuriosa cela.

Dove o Cetra? Non più. Rari i discreti
Sono: e la turba è densa
Che già derider pensa
I facili del labbro a uscir segreti.
Di lui questa all'orecchio
Parte de' sensi miei salgane occulta
Sì che del corche al beneficio esulta
Troppo limpido specchio
Non sia che fiato invidïoso appanni
Che me di vanti e lui d'error condanni.

Lungi o profani! Io d'importuna lode
Vile mai non apersi
Cambio; nè in blandi versi
Al giudizio volgar so tesser frode.
Oro nè gemme vani
Sono al mio canto: e dove splenda il merto
Là di fiore immortal ponendo serto
Vo con libere mani:
Nè me stesso nè altrui allor lusingo
Che poetica luce al vero io cingo.


PER L'INCLITA NICE

Quando novelle a chiedere
Manda l'Inclita Nice
Del pièche me costrignere
Suole al letto infelice
Sento repente l'intimo
Petto agitarsi del bel nome al suon.

Rapido il sangue fluttua
Ne le mie vene: invade
Acre calor le trepide
Fibre: m'arrosso: cade
La voce: ed al rispondere
Util pensiero in van cerco e sermon.

Ridecred'iopartendosi
Il messo. E allor soletto
Tutta vegg' iocon l'animo
Pien di novo diletto
Tutta di lei la immagine
Dentro a la calda fantasìa venir.

Ed ecco ed ecco sorgere
Le delicate forme
Sovra il bel fianco; e mobili
Scender con lucid'orme
Che mal può la dovizia
Dell'ondeggiante al piè veste coprir.

Ecco spiegarsi e l'omero
E le braccia orgogliose
Cui di rugiada nudrono
Freschi ligustri e rose
E il bruno sottilissimo
Crineche sovra lor volando va:

E quasi molle cumulo
Crescer di neve alpina
La manche ne le floride
Dita lieve declina
Cara de' baci invidia
Che riverenza contener poi sa.

Ben puoi ben puoi tu rigido
Di bel pudor costume
Che vano ami dell'avide
Luci render l'acume
Altre involar delizie
Immenso intorno a lor volgendo vel:

Ma non celar la grazia
Nè il vezzoche circonda
Il volto affatto simile
A quel de la gioconda
Ebeche nobil premio
Al magnanimo Alcide è data in ciel.

Nè il guardoche dissimula
Quanto in altrui prevale;
E volto poi con subito
Impeto i cori assale
Qual Parto sagittario
Che più certi fuggendo i colpi ottien.

Nè i labbri or dolce tumidi
Or dolce in sè ristretti
A cui gelosi temono
Gli Amori pargoletti
Non omai tutto a suggere
Doni Venere madre il suo bel sen:

I labbrionde il sorridere
Gratissimo balena
Onde l'eletto e nitido
Parlarche l'alme affrena
Cadecome di limpide
Acque lungo il pendìo lene rumor;

Seco portando e i fulgidi
Sensi ora lieti or gravi
E i geniali studii
E i costumi soavi;
Onde salir può nobile
Chi ben d'ampia fortuna usa il favor.

Ahila vivace immagine
Tanto pareggia il vero
Chedel piè leso immemore
L'opra del mio pensiero
Seguir già tento; e l'aria
Con la delusa man cercando vo.

Sciocco vulgo a che mormori
A che su per le infeste
Dita ridendo noveri
Quante volte il celeste
A visitare Ariete
Dopo il natal mio dì Febo tornò?

A me disse il mio Genio
Allor ch'io nacqui: L'oro
Non fia che te solleciti
Nè l'inane decoro
De' titolinè il perfido
Desìo di superare altri in poter.

Ma di natura i liberi
Doni ed affettie il grato
De la beltà spettacolo
Te renderan beato
Te di vagare indocile
Per lungo di speranze arduo sentier.

Inclita Nice. Il secolo
Che di te s'orna e splende
Arde già gli assi. L'ultimo
Lustro già toccae scende
Ad incontrar le tenebre
Onde una volta pargoletto uscì:

E già vicino ai limiti
Del tempo i piedi e l'ali
Provan tra lor le vergini
Oreche a noi mortali
Già di guidar sospirano
Del secolche matura il primo dì.

Ei te vedrà nel nascere
Fresca e leggiadra ancora
Pur di recenti grazie
Gareggiar con l'aurora;
E di mirarti cupido
De' tuoi begli anni farà lento il vol.

Ma ioforse già polvere
Che senso altro non serba
Fuor che di tegiacendomi
Fra le pie zolle e l'erba
Attenderò chi dicami
Vale passandoe ti sia lieve il suol.

Deh alcunche te nell'aureo
Cocchio trascorrer veggia
Su la viache fra gli alberi
Suburbana verdeggia
Faccia a me intorno l'aere
Modulato del tuo nome volar.

Colpito allor da brivido
Religïoso il core
Fermerà il passo; e attonito
Udrà del tuo cantore
Le commosse reliquie
Sotto la terra argute sibilar.


A SILVIA

Perchè al bel petto e all'omero
Con subita vicenda
Perchèmia Silvia ingenua
Togli l'Indica benda

Che intorno al petto e all'omero
Anzi a la gola e al mento
Sorgea pur orqual tumida
Vela nel mare al vento?

Forse spirar di zefiro
Senti la tiepid'ora?
Ma nel giocondo ariete
Non venne il sole ancora.

Ecco di neve insolita
Bianco l'ispido verno
Par chesebben decrepito
Voglia serbarsi eterno.

M'inganno? O il docil animo
Già de' feminei riti
Cede al potente imperio:
E l'altre belle imiti?

Qual nome o il caso o il genio
Al novo culto impose
Che sì dannosa copia
Svela di gigli e rose?

Che fia? Tu arrossi? E dubia
Col guardo al suol dimesso
Non so qual detto mormori
Mal da le labbra espresso?

Parla. Ma intesi. Oh barbaro!
Oh nato da le dure
Selci chiunque togliere
Da scellerata scure

Osò quel nomeinfamia
Del secolo spietato;
E diè funesti augurii
Al femminile ornato;

E con le truci Eumenidi
Le care Grazie avvinse;
E di crudele immagine
La tua bellezza tinse!

Lasciamia Silvia ingenua
Lascia cotanto orrore
All'altre bellestupide
E di mente e di core.

Ahida lontana origine
Che occultamente noce
Anco la molle giovane
Può divenir feroce.

Sai de le donne esimie
Onde sì chiara ottenne
Gloria l'antico Tevere
Silviasai tu che avvenne;

Poi che la spola e il Frigio
Ago e gli studj cari
Mal si recàro a tedio
E i pudibondi Lari;

E con baldanza improvvida
Contro a gli esempi primi
Ad ammirar convennero
I saltatori e i mimi?

Pria tolleraron facili
I nomi di Terèo
E de la maga Colchica
E del nefario Atrèo.

Ambìto poi spettacolo
A i loro immoti cigli
Fur ne le orrende favole
I trucidati figli.

Quindiperversa l'indole
E fatto il cor più fiero
Dal finto duolgià sazie
Corser sfrenate al vero.

E là dove di Libia
Le belve in guerra oscena
Empièan d'urla e di fremito
E di sangue l'arena

Potè all'alte patrizie
Come a la plebe oscura
Giocoso dar solletico
La soffrente natura.

Che più? Baccantie cupide
D'abbominando aspetto
Sol dall'uman pericolo
Acuto ebber diletto:

E da i gradi e da i circoli
Co' moti e con le voci
Di già maschiliapplausero
A i duellanti atroci:

Creando a sè delizia
E de le membra sparte
E de gli estremi aneliti
E del morir con arte.

Coprimia Silvia ingenua
Copri le luci; et odi
Come tutti passarono
Licenzïose i modi.

Il gladiatorterribile
Nel guardo e nel sembiante
Spesso fra i chiusi talami
Fu ricercato amante.

Cosìpoi che da gli animi
Ogni pudor disciolse
Vigor da la libidine
La crudeltà raccolse.

Indi a i veleni taciti
Si preparò la mano:
Indi le madri ardirono
Di concepire in vano.

Tal da lene principio
In fatali rovine
Cadde il valor la gloria
De le donne Latine.

Fuggìmia Silvia ingenua
Quel nome e quelle forme
Che petulante indizio
Son di misfatto enorme.

Non obliar le origini
De la licenza antica.
Pensaci: e serba il titolo
D'umana e di pudica.


ALLA MUSA

Te il mercadanteche con ciglio asciutto
Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama
Dura avarizianel remoto flutto
Musanon ama.

Nè queicui l'alma ambizïosa rode
Fulgida cura; onde salir più agogna;
E la molto fra il dì temuta frode
Torbido sogna.

Nè giovaneche pari a tauro irrompa
Ove a la cieca più Venere piace:
Nè donnache d'amanti osi gran pompa
Spiegar procace.

Sai tuvergine deachi la parola
Modulata da te gusta od imita;
Onde ingenuo piacer sgorgae consola
L'umana vita?

Coluicui diede il ciel placido senso
E puri affetti e semplice costume;
Che di sè pago e dell'avito censo
Più non presume.

Che spesso al faticoso ozio de' grandi
E all'urbano clamor s'involae vive
Ove spande natura influssi blandi
O in colli o in rive.

E in stuol d'amici numerato e casto
Tra parco e delicato al desco asside;
E la splendida turba e il vano fasto
Lieto deride.

Che a i buoniovunque siadona favore;
E cerca il vero; e il bello ama innocente;
E passa l'età sua tranquillail core
Sano e la mente.

Dunque perchè quella sì grata un giorno
Del Giovincui diè nome il dio di Delo
Cetra si tace; e le fa lenta intorno
Polvere velo?

Ben mi sovvien quandomodesto il ciglio
Ei già scendendo a me giudice fea
Me de' suoi carmi: e a me chiedea consiglio:
E lode avea.

Ma or non più. Chi sa? Simile a rosa
Tutta fresca e vermiglia al solche nasce
Tutto forse di lui l'eletta Sposa
L'animo pasce.

E di bellezzadi virtùdi raro
Amordi graziedi pudor natìo
L'occupa sìch'ei cede ogni già caro
Studio all'oblìo.

Musamentr'ella il vago crine annoda
A lei t'appressa; e con vezzoso dito
A lei premi l'orecchio; e dille: e t'oda.
Anco il marito.

Giovinetta crudelperchè mi togli
Tutto il mio d'Addae di mie cure il pregio
E la speme concettae i dolci orgogli
D'alunno egregio?

Costui di mede' genj miei si accese
Pria che di te. Codeste forme infanti
Erano ancorquando vaghezza il prese
De' nostri canti.

Ei t'era ignoto ancor quando a me piacque.
Io di mia man per l'ombrae per la lieve
Aura de' lauri l'avviai ver l'acque
Che al par di neve

Bianche le spumescaturir dall'alto
Fece Aganippe il bel destrierche ha l'ale:
Onde chi beve io tra i celesti esalto
E fo immortale.

Io con le nostre il volsi arti divine
Al decenteal gentileal raroal bello:
Fin che tu stessa gli apparisti al fine
Caro modello.

Ese nobil per lui fiamma fu desta
Nel tuo petto non conscio: e s'ei nodrìa
Nobil fiamma per tesol opra è questa
Del cielo e mia.

Ecco già l'ale il nono mese or scioglie
Da che sua fostie giàdeh ti sia salvo
Te chiaramente in fra le madri accoglie
Il giovin alvo.

Lascia che a me solo un momento ei torni;
E novo entro al tuo cor sorgere affetto
E novo sentirai da i versi adorni
Piover diletto.

Però ch'io stessail gomito posando
Di tua seggiola al dorsoa lui col suono
De la soave andrò tibia spirando
Facile tono.

Onde rapitoei canterà che sposo
Già felice il rendestie amante amato;
E tosto il renderai dal grembo ascoso
Padre beato.

Scenderà in tanto dall'eterea mole
Giunoche i preghi de le incinte ascolta.
E vergin io de la Memoria prole
Nel velo avvolta

Uscirò co' bei carmi; e andrò gentile
Dono a farne al PariniItalo cigno
Che a i buoni amicoalto disdegna il vile
Volgo maligno.



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